GIRADISCHI THE VOYD

"Quando a questo giravano.....erano vinili amari per tutti"

 

Con questa frase, l'amico Roberto, esperto conoscitore di giradischi inglesi dell'epoca d'oro, introduce questa recensione di uno dei giradischi più innovativi e geniali mai costruiti, al contempo quasi sconosciuto alle masse.

Passo dunque la parola alla sua disamina di questo interessante pezzo di storia dell'hifi e dalla riproduzione del suono da vinile:

Voyd significa letteralmente "vuoto" e fu battezzato con questo nome in modo così intuitivo per fare appunto il "vuoto" intorno a se.

Di fatto il progettista iniziale di chiamava Philip Voyd, mentre le versioni successive vennero seguite da un certo Guy Adams.

In quegli anni, i detrattori dei sistemi a cinghia (e ce ne erano tanti) proclamavano che i giradischi a cinghia frenassero il sistema di rotazione quando il solco fosse diventato "tortuoso".

I giradischi giapponesi, si diceva, questi problemi, non ne hanno.

Il progetto del Voyd dunque, voleva far tacere per sempre le critiche generali, mettendo in pratica un sistema che garantisse la silenziosità della cinghia ed una coppia di trazione potentissima che non facesse rimpiangere i giradischi a trazione diretta.

The Voyd dunque introduce un sistema innovativo a cinghia azionata da tre, dico tre, motori ed altrettante pulegge in bronzo a botte semicircolare per consentire  il funzionamento anche con doppia cinghia.

La genesi del Voyd non fu particolarmente fortunata, anche perchè alla sua uscita costava il doppio di un suo competitor dell'epoca,

l'intramontabile Linn LP12.

Un aneddoto accompagna la sua nascita, il progettista, un semplice appassionato con una laurea di ingegneria in tasca, Philip Voyd, si divertiva a modificare i suoi giradischi.

Un giorno aggiunse un secondo motore al suo giradischi Thor (forse Thorens) e la moglie, passando di lì, esclamo: "questo suona come Dio comanda!"

Qui sopra sono visibili le pulegge dei tre motori e la cinghia con al centro il perno. Visibile anche la parte posteriore aperta da cui si vedono i tre motori.

Il piatto, semitrasparente, fu realizzato in Lexsan, materiale scelto per le sue caratteristiche di neutralità e dal quale si può notare la cinghia cha scorre sulle pulegge.

Questo giradischi non ha, come molti altri, il sistema di piatto e contro-piatto che solitamente, a causa del disaccoppiamento, può colorare il suono.

Un sistema a piatto unico evita tutte le colorazioni.

Poco dopo la sua uscita si guadagnò il consenso unanime delle riviste del settore, britanniche e non, in particolare la rivista HiFi Choice lo proclamò, assieme ai diffusori Snell ed all'integrato Audio Innovations 500, il trittico da battere in quegli anni.

Forse proprio l'amicizia di Peter Qvortrup (Audio Innovation/Audio Note UK) e Peter Snell portò il Voyd ad essere prodotto successivamente in un versione Reference proprio dalla Audio Note portando il prezzo a quasi 7000,00 Sterline inglesi che, alla fine degli anni '80, erano una cifra davvero importante.

Per i più curiosi ed attenti, il bracci visibile in queste foto è l'Helius Aureus che era l'abbinamento suggerito sempre dalla riviste inglesi del periodo.

Una coppia incredibile, l'uno invece che moderare l'altro ne esaltava le caratteristiche: la mia definizione per la coppia per la propensione al vizio: "erano una vera e propria associazione a delinquere"..:-) 

Qui sotto uno dei tre motori deputati alla trazione del giradischi.